
In questa Pasqua di cui non mi ero neppure ricordato l'esistenza, passeggiando per Guildford, debosciato più del solito, mi sono imposto di stare faccia al sole per trenta minuti dico trenta. Per trenta minuti dico trenta mi sono finto libero, ho recitato di fronte a me stesso la parte di chi può fare benissimo a meno di tutte le ordinarie, rassicuranti attività neuro-risanatrici.
Seduto nel baretto, invaso dal sole, mi sono astratto, mi sono dipinto uomo senza essere padre, né amante, né amato.
A quei graziosi bimbi dagli occhi azzurri che gironzolavano intorno, che agitavano le appendici a scimmiottare un saluto, che mi apostrofavano con uno sdentato "Hi!", ho opposto la gialla copertina di uno dei miei cavalli di battaglia.

Ho aggiunto un altro mattone al muro impenetrabile che vado costruendo da tempo. Li ho combattuti a colpi di raziocinio, quei loro minacciosi gesti. Miracolosamente sono riuscito, per quei pochi minuti, a mimetizzarmi con quell'unico uniforme colore giallo-Springer, ad essere un blocco granitico di sola astrazione logica. E che voli pindarici! Che sapori dolciastri si provano in questo stato di ebbrezza!
Salvo poi ridiscendere al suolo quando il sole si è nascosto dietro il palazzo. Svanita la magia, mi sono reso conto che questa libertà è tanto artificiale quanto patetica. La cosa più vicna all'essere
free che ho fatto oggi, è stato ascoltare, per ben tre volte, i
Soft Machine.